Il gioco del poker nelle sue varianti (Texas Hold’em, Omaha, Razz, eccetera) porta con sé tanti aspetti positivi, tra cui la componente di merito, come la bravura (nel lungo periodo) è certamente la dote più apprezzabile. Tuttavia, chi conosce questo ambiente, sia per professione che per passione, non può fare a meno di rendersi conto di quanti lati negativi porta con sé.

Il poker, ovviamente, fa male agli sconfitti: tralasciando chi lo fa solo per passione come hobby e lo considera allo stesso modo come una serata con gli amici è lapalissiano ripetere quante tentazioni possono solleticare le persone che soffrono di ludopatia.

Considerare il poker un gioco di azzardo è sicuramente un errore, ma è altrettanto errato far finta di nulla e non rendersi conto di quanto possa essere devastante nei soggetti già “a rischio“. Oltre al danno finanziario, per i perdenti c’è la beffa di arrovellarsi la mente cercando di dimostrare teorie improbabili piuttosto che ammettere (non c’é nulla di male) la superiorità degli avversari.

Il poker fa dei danni anche a chi è in “pari“, categoria di giocatori che seguendo le dichiarazioni degli interessati è probabilmente più corposa: non semplice infatti continuare a giocare a poker, investendo energie, tempo e vedere la propria linea dei guadagni immobile e piatta, non riuscendo magari per sfortuna a ingranare la marcia giusta e abbandonando in modo mesto ambizioni e aspettative.

La cosa strana sta però nel fatto che il poker fa male spesso alla salute dell’elite dei campioni, perché portare a casa stipendi importanti non è sempre sinonimo di felicità: sono davvero poche le persone sufficientemente intelligenti e con un giusto mindset che estrapolano il meglio del gioco (fondamentalmente il denaro!), lasciandosi scivolare tutte le negatività che porta in dote.

Le bad beat prese in serie fanno male all’umore e di certo gli sbalzi del bankroll, che possono essere paurosi, non conciliamo il sonno notturno se non si ha ben chiaro l’obiettivo finale. Ma fa male anche rovinarsi la vita per l’invidia nei confronti di chi ha “rubato” un torneo che forse non meritava, o di chi “runna good” per essendo un giocatore scarso, nonché lamentarsi magari per un secondo posto perché “meritavamo” il primo posto nel torneo.

Tutto questo porta all’incredibile risultato che praticamente sono i radi giocatori di poker felici. Forse, il vero problema è che il poker, in modo particolare quello italiano degli ultimi anni, ha consentito a tante, troppe, persone di arricchirsi in modo spropositato rispetto alla maturità acquisita nella “vita reale“, spingendoli a un’alienazione che fa sovrapporre le avventure pokeristiche con il mondo che ci circonda, facendo coincidere le qualità al tavolo con i valori personali: chi quindi perde a poker, o non ha le basi per discutere di differenziali di un call in bolla, diventa ai nostri occhi improvvisamente stupido, inutile e non degno di rispetto.

Questo è un periodo di vero successo del poker e abbiamo la fortunata posizione di poter prendere da questo gioco fantastico tutto il meglio possibile: fama, denaro, soddisfazione e realizzazione personale e sociale. Non lasciamo però che il poker sia l’unica essenza della nostra vita, l’unico argomento di discussione, l’unico nostro pensiero nella giornata, perché il rischio è di uscirne devastati nel fisico e nel morale: questo nuoce alla saluta più di qualsiasi bad beat perché non avremo più in seguito una “mano giusta” per poter recuperare le brutte mani.